Dietro ogni persona c’è una storia

Il mese di Dicembre solitamente è quello caratterizzato dai preparativi per il Natale. Non per Dennis, o perlomeno non quell’anno, il 1966. Suo padre Philander, ex membro dell’aeronautica statunitense, ha deciso di abbandonare la famiglia e trasferirsi nelle Filippine per costruirsi una nuova vita. Quell’evento caratterizza sicuramente l’infanzia che il ragazzo trascorre in uno dei quartieri più poveri di Dallas, con la madre e le due sorelle. Lui è un ragazzo timido e introverso. Diversamente dalle sorelle, non eccelle nello sport. Fatica a sentirsi accettato. Finita la scuola inizia a lavorare in aeroporto. Ma viene arrestato per aver rubato alcuni orologi: voleva impressionare i compagni di classe. Lo licenziano e sua madre lo caccia di casa. Diventa un homeless. Dorme da amici o nei parchi della città. Trascorre anni complessi, che lo segneranno. Ma poi cresce di 23 centimetri in un anno. La sua statura non lo fa più passare inosservato. Dennis Rodman viene notato nelle sue partitelle al campetto da basket. Gli offrono una borsa di studio in un remoto college in Oklahoma. Quella è la svolta che lo porterà ad affacciarsi all’NBA, selezionato dai Detroit Pistons. A Detroit trova un padre, l’allenatore Chuck Daly. Con lui bel 1989 vince il primo campionato. Vince anche l’anno successivo.

Sembra la classica storia del ragazzo che si riscatta. Qui si commuove teneramente alla consegna di un premio.


 Poi nel 1992 crolla in una crisi personale e sportiva. Divorzia. Abbandona la figlia neonata. Lascia i Pistons. L’11 febbraio 1993 viene trovato addormentato in un parcheggio con un fucile puntato alla testa. Demoni e fantasmi, dolore e rabbia. Ma quella notte il ragazzo di Dallas inizia una seconda vita. Forse non quella che ti immagineresti. Reinventa la propria immagine: un look da ribelle, tatuaggi, piercing capelli colorati. Diventa una rock star. Controverso. Eclettico. Trasgressivo. A tratti geniale. Ha una relazione con Madonna. Matrimoni lampo. Nottate nei casinò di Las Vegas. In campo forte, ma fuori dal parquet follia allo stato puro. Sulla via del tramonto, durante l’ennesima fase autodistruttiva, finisce ai Chicago Bulls di Michael Jordan e coach Phil Jackson, di cui diventa un fedele soldato. In campo torna invincibile: vince 3 titoli NBA di fila. Dopo la fine della carriera sportiva rimarrà un personaggio mediatico, sempre pronto a far parlare di sé. Lontano il ricordo di quel giovane atleta riservato. Un uomo ancora oggi in lotta con i suoi demoni. Nel 2012, invitato sul palco per celebrare l’inserimento nella Basketball Hall of Fame, ha commosso il pubblico. Incapace di reggere l’emozione, si è mostrato in tutte le sue difficoltà, mettendosi a nudo e riavvolgendo il nastro della sua vita.

«Se qualcuno mi chiede se ho qualche rimpianto nella mia carriera da giocatore di basket, rispondo che ho un solo rimpianto: avrei voluto essere un padre migliore.»

Si cerca sempre di dividere il mondo in buoni e cattivi. Ma dietro a ogni persona c’è una storia, spesso nascosta. buon weekend e alla prossima,

Andrea

Questa è Goodmorning Runlovers, e io sono Andrea Corradin. Progetto a cura di Runlovers, la più grande community italiana sul running.

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